di Matteo Fezzi
Prosegue la tradizione delle “Conversazioni in Augustinianum”, un’iniziativa portata avanti dalla Commissione liturgica e dall’Assistente spirituale Don Daniel Balditarra. L’ultimo ospite del ciclo è stato l’Abate della Basilica di Sant’Ambrogio Monsignor Carlo Faccendini, che lo scorso 15 marzo ha dialogato con i collegiali in un incontro all’insegna della poesia e della spiritualità.
Il tema affrontato è stato “La vita nella poesia di David Maria Turoldo”, sacerdote e poeta e, tra le altre, ex studente del nostro Ateneo, dove si laureò in Filosofia. Mons. Faccendini ha saputo navigare tra le bellezze della sensibilità cattolica di Turoldo e la sua poesia, in particolare quella del suo ultimo periodo di vita (1989-1992).
La raccolta “Canti ultimi” riguarda direttamente il suo autore nel suo periodo di agonia, dovuto alla malattia che lo aveva colpito, il tumore al pancreas. Turoldo vive la sofferenza di questi anni, fisica e spirituale, nella profondità dei suoi testi, le sue creature. La malattia viene paragonata ad un drago che si è impossessato di lui ed è re del suo corpo. Una malattia che lo porta a paragonarsi a Cristo, ignorato dal Padre nella Dolorosa Passione, e a Giobbe, figura biblica di uomo retto, che perde tutto: beni, affetti e salute. Dio lo ha permesso, lo ha concesso, sembra avere esaudito la richiesta del Diavolo, condannando Giobbe ad una sofferenza fisica e morale. Perché, si chiede Turoldo.
Perché esiste il male, e perché Dio lo permette? Queste sono le domande della prima parte di poesie della raccolta. Turoldo si interroga, sembra attaccare Dio e la sua bontà, che viene messa completamente in discussione. Poi, però, ritorna sui suoi passi e richiede almeno la salvezza della sua anima. Capisce che la vita terrena è destinata a concludersi, comprende di non volersi perdere. E sa, nel profondo del suo cuore, di doversi affidare a Dio, a Cristo, nel momento in cui sopraggiungerà la “Notte”, che è semplicemente un tranquillo ponte verso l’esistenza eterna.